A Sauris le maschere erano senza espressione, icona degli antenati
Le Maschere

Le Maschere di Sauris / De Maschkars van der Zahre

Nella collezione di maschere lignee esposte al Museo Gortani di Tolmezzo, quelle di Sauris si distinguono dalle maschere di altri paesi carnici per la loro espressione: niente tratti grotteschi o deformi, nessun intento caricaturale, ma la riproduzione di volti composti, dai lineamenti regolari, non molto diversi dai visi che ci guardano dalle vecchie foto di famiglia dei primi decenni del Novecento. Sono volti per lo più maschili, perché le figure femminili (indipendentemente da chi le interpretava) spesso coprivano il viso con una veletta di pizzo o con un pezzo di tela bianca nel quale venivano ritagliati gli occhi e la bocca.

Nel carnevale di Sauris/Zahre, comunità germanofona fondata nel Medioevo, le maschere (schembln, parola che indica l’intera figura mascherata, compreso il suo comportamento) potevano essere “belle” (schean) o “brutte” (scheintan). Alcune maschere facciali del museo di Tolmezzo appartengono decisamente alla tipologia “bella”; altre, per il colore più carico e lo sguardo inquietante, ma senza grandi differenze rispetto alle altre, devono essere state indossate da chi si vestiva da “brutto”.

Queste caratteristiche appaiono in linea con l’interpretazione data oggi dagli antropologi, secondo la quale «nella maschera si legge la rappresentazione dei ‘vecchi’, degli antenati che si ripresentano per le strade del paese nei giorni del “rovesciamento” carnevalesco» (Gian Paolo Gri).

In queste maschere traspare il forte legame con il passato familiare e comunitario e con la tradizione, così evidente nella ricerca di realismo e nella delicatezza che mancano invece (tolte poche eccezioni) alle maschere saurane di oggi, maggiormente improntate all’effetto comico o spaventoso, più vicino ai nuovi significati e funzioni che il carnevale sta assumendo nella società contemporanea.